Analisi petrografiche: le stele rinvenute nella necropoli

   Durante la campagna di scavi svoltasi nel 2004 e 2005 nella necropoli di Narde (Fratta Polesine) risalente alla tarda età del Bronzo compresa tra il XII e IX secolo a.C., molti sono stati i reperti portati alla luce assieme alle 240 tombe. Oggetti di differenti tipologie che testimoniano lo sviluppo di complesse attività artigianali, di floridezza, traffici e commercio. Aspetto questo che unitamente all’ubicazione della necropoli lungo un corso dell’Adige e lungo un percorso del Po oggi abbandonati, comunque confermano l’importanza assunta dalle vie fluviali che, specialmente in questo caso, fungevano da tramite tra le rotte adriatiche ad oriente ed i territori continentali padano-alpini verso settentrione ed occidente.
Questo aspetto di confermata connessione tra zone orientali ed occidentali con Narde giocherà un ruolo importante anche nella ricerca della provenienza dei materiali lapidei costituenti le steli in analisi.

Tra i reperti archeologici, tre sono quelli analizzati:
1)      Stele 1 che per le sue dimensioni è stata denominata “Stele Grande”,
2)      Stele 2 che per la sua forma è stata denominata “Stele Poligonale”,
3)      Stele 3 che, anch’essa per la sua forma, è stata denominata “Stele Ciottolone”.

Sulla campionatura effettuata della Soprintendenza di Verona, si è eseguita un’analisi petrografica per verificare l’origine ed eventualmente la provenienza dei materiali con cui sono state realizzate tali stele.

STELE 1 “GRANDE”
Il frammento dalla Stele 1 denominata “Grande”, ha una genesi metamorfica. Essa è costituita da abbondanti fillosilicati di origine muscovitica che provocano nel materiale una rilevante scistosità, confermandone tale origine. Il suo aspetto è leggermente alterato, specialmente lungo gli straterelli fillosilicatici, ha un colore grigiastro, probabilmente imputabile ad una condizione di alterazione della stele ed attorno ad essa si nota la presenza di una sottile crosta di rivestimento verosimilmente dovuta alla sua permanenza sotto terra.

Figura 1. Aspetto del frammento di roccia che costituisce la stele grande. Il colore di insieme è grigiastro e spiccano i piani fillosilicatici. (Stereomicroscopio 7i).

Figura 2. Lungo uno dei piani di scistosità notare l’elevata concentrazione dei fillosilicati che conferiscono tessitura lepidoblastica alla roccia. (Stereomicroscopio 16i).

Grazie all’analisi microscopica, possiamo definire il frammento che proviene da “Stele Grande” come un litotipo cristalloblastico a tessitura lepido/nematoblastico per la disposizione isoorientata e subparallela degli individui mineralogici allungati. La roccia ha tessitura foliata sottile, con andamento regolare e diritto degli straterelli e con alternanza di letti composizionalmente differenti. Quelli più spessi, infatti, sono costituiti da quarzo policristallino isoorientato e da feldspati, mentre i letti più sottili sono costituiti da fillosilicati talora alterati composti da biotite e da muscovite a cui sono associati epidoti di tipo pistacite generalmente granulare, lacinie di clorite, apatite e zirconi. Alcune microgranulazioni di minerali opachi possono localmente intorbidire gli individui di quarzo ed i feldspati.
Attorno al litotipo di cui è costituita la stele, si nota la presenza di una sottile crosta, microscopicamente definibile come un insieme di prodotti argillosi, granuletti di quarzo, lacinie muscovitiche, minerali opachi. Essa è verosimilmente imputabile ad una permanenza sotto terra della stele.
Petrograficamente la roccia con cui è costruita Stele 1, denominata “Grande”, è uno Scisto (UNI EN 12407).

Figura 3. Aspetto del materiale in sezione sottile. Si nota l’alternanza di letti sub paralleli. Quelli bianchi, più spessi, sono costituiti da quarzo e feldspati, mentre quelli più sottili sono costituiti prevalentemente da biotite (bruna) e muscovite (bianca) (Microscopio a luce polarizzata 2i, nicol paralleli).

Figura 4. Identica posa di foto 3 scattata con nicol incrociati che permettono di apprezzare i colori di interferenza dei vari minerali. In grigio quarzo e feldspati, con colori intensi i fillosilicati (Microscopio a luce polarizzata 2i, nicol incrociati).

Figura 5. I letti più sottili sono costituiti da biotite marrone e da muscovite bianca. Attorno si nota il mosaico cristallino costituito da quarzo e da feldspati (Microscopio a luce polarizzata 10i, nicol paralleli).

Figura 6. In grigio quarzo e qualche feldspato, mentre gli individui colorati sono costituiti da muscovite. La minuta granulazione ad essa associata che presenta colore blu giallo è costituita da pistacite (Microscopio a luce polarizzata 10i, nicol incrociati).

F

STELE 2 “POLIGONALE”
Il frammento dalla Stele 2, denominata “Poligonale” mostra, ad un’osservazione macroscopica, una chiara origine magmatica effusiva. Il materiale ha colore grigiastro con fenocristalli di colore grigio biancastro e locali punteggiature nere micrometriche disperse in una massa di fondo non risolvibile ad occhio nudo.
Localmente la roccia mostra tracce di alterazione che si notano a causa del loro colore giallastro. La roccia è porosa.

Figura 7. Aspetto del frammento di roccia che costituisce la stele “Poligonale”. Il colore è grigiastro e il litotipo è caratterizzato da fenocristalli di colore chiaro. Sono presenti macchie giallastre dovute a minerali opachi e pori con locali cristallizzazioni. (Stereomicroscopio 7i).

Figura 8. Nella massa di fondo, indistinguibile ad occhio nudo, si nota la presenza di individui cristallini trasparenti. La roccia è macchiettata da micro-individui di colore giallastro. (Stereomicroscopio 40i).

Microscopicamente si riconosce il frammento che proviene dalla Stele “Poligonale” come un litotipo olocristallino magmatico effusivo con fenocristalli di dimensioni minori di 1 mm solitamente aggregati (tessitura glomeroporfirica) a costituire associazioni di individui che raggiungono dimensioni massime pari a 4 mm. Tali individui sono costituiti da plagioclasi che risultano immersi nella massa di fondo pilotassitica fluitale composta da plagioclasi non risolvibili microscopicamente. Tra i costituenti è presente anche biotite più o meno alterata o in fase di sostituzione da parte di minerali opachi, tra i quali si riconoscono magnetite e limonite. Essi sono prevalentemente posizionati attorno ai minerali in condizione di alterazione. Sono presenti porosità intraclastiche. I costituenti dimensionalmente più grossolani non sono molto abbondanti nella sezione che risulta essere prevalentemente costituita dalla massa di fondo costituita da individui con dimensioni massime pari a 300 micron e disposizione sub parallela.
Attorno al frammento si nota la locale presenza di una sottile crosta di rivestimento verosimilmente imputabile alla permanenza della stele sotto terra. Essa ha composizione eterogenea ed è costituita da lacinie di muscovite, granuletti di quarzo e probabile sostanza argillosa.

Petrograficamente la roccia con cui è costruita Stele 2, denominata “Poligonale”, è una Trachite. (UNI EN 12407)

Figura 9. La trachite si presenta con una massa di fondo indistinguibile, (parte bruniccia nella foto), nel cui interno si notano alcuni porfiroclasti che, raggruppati, generano una tessitura glomeroporfirica. Si notano inoltre abbondanti minerali opachi diffusi in tutta la sezione (Microscopio a luce polarizzata, 2i, nicol paralleli).

Figura 10. Medesima posa di foto 9 scattata con nicol incrociati. Si può apprezzare la tessitura pilotassitica (a feltro) della massa di fondo (Microscopio a luce polarizzata, 2i, nicol incrociati).

Figura 11. Aspetto dei macrocristalli feldspatici immersi nella massa di fondo. Gli individui scuri sono costituiti da biotite (in alto a sinistra) in fase di sostituzione ad opera di minerali opachi. In alto a destra, neri, minerali opachi costituiti da magnetite (Microscopio a luce polarizzata, 10i, nicol paralleli).

Figura 12. La massa di fondo è bruniccia per la presenza di ossidi, e nel suo interno sono presenti fenocristalli feldspatici. Lungo il bordo si osserva una sottile crosta di colore bruno scuro imputabile al fatto che la stele è rimasta per un certo periodo sotto terra (Microscopio a luce polarizzata, 2i, nicol paralleli).

STELE 3 “CIOTTOLONE”
Anche in questo caso lo studio del frammento dalla Stele 3, denominata “Ciottolone”, evidenzia macroscopicamente una chiara origine magmatica effusiva del litotipo utilizzato per la sua realizzazione. Esso è di colore grigio beige con locali venature o chiazze giallastre dovute ad un processo di alterazione in atto che interessa il materiale. Vi si nota la presenza di fenocristalli da sub millimetrici a millimetrici di colore biancastro, e submillimetrici di colore bruno.
I fenocristalli che hanno dimensioni apprezzabili ad occhio nudo, sono flottanti nella massa di fondo grigiastra non risolvibile. Anche superficialmente si apprezza un andamento decisamente fluitale del materiale, nel cui interno i fenocristalli tendono a presentarsi isoorientati.

Figura 13. Aspetto macroscopico del materiale nel quale si osserva un andamento fluitale del materiale. (Stereomicroscopio 10i).

Figura 14. Venature giallastre costituite da prodotti di alterazione. In bianco i feldspati e in bruno le biotiti. (Stereomicroscopio 16i).

Grazie all’indagine microscopica, possiamo osservare come il materiale costituente Stele 3 definita “Ciottolone” sia un litotipo olocristallino magmatico effusivo con fenocristalli di dimensioni generalmente variabili tra 600 – 900 micron, e rari individui di dimensioni massime pari a 5000 micron. I fenocristalli, che hanno forma generalmente euedrale, si presentano solitamente aggregati a generare una tessitura glomeroporfirica e sono quasi tutti caratterizzati da strutture coronitiche. Nei feldspati tale struttura coronitica è anche associata a zonazione, mentre nelle biotiti essa è dovuta a granulazione più o meno grossolana e spessa che nei cristalli più piccoli finisce per sovrimporsi completamente al minerale, provocando quindi una condizione di alterazione totale sovrimposta al minerale originario in fase di neomorfismo. Gli aggregati costituiti dagli individui di dimensioni maggiori sono immersi in una massa di fondo afanitica in quanto riconoscibile solo ad elevati ingrandimenti. La roccia mostra strutture di scorrimento fluitale ed i microcristalli della massa di fondo, verosimilmente sanidinici anche se non determinabili date le loro esigue dimensioni (30 ÷ 100 micron), presentano una disposizione isoorientata e subparallela, localmente disturbata dalla presenza dei fenocristalli.
I costituenti fondamentali del materiale sono dati da feldspati, biotiti, minerali opachi costituiti da magnetite e da microgranulazioni limonitiche.

I feldspati, presenti come porfiroblasti, come glomero – porfiroblasti e come individui della massa di fondo si presentano sia sani e sia alterati, talora caratterizzati da una patina giallastra, zonati, fratturati, geminati. Non si osservano individui adatti alla determinazione della loro composizione; le biotiti hanno dimensioni massime pari a 1 o 2 mm e sono in condizione di alterazione più o meno spinta; i minerali opachi sono diffusi anche nella massa di fondo.

Petrograficamente la roccia con cui è costruita Stele 3, denominata “Ciottolone”, è una Trachite. (UNI EN 12407)

Figura 15. Aspetto del materiale in sezione sottile. In bianco i feldspati, in bruno la biotite. I fenocristalli si presentano isoorientati (Microscopio a luce polarizzata, 2i, nicol paralleli).

Figura 16. Aspetto della roccia a nicol incrociati. In grigio un feldspato fratturato e zonato, in bruno una biotite in fase di alterazione (Microscopio a luce polarizzata, 10i, nicol incrociati).

Figura 17. Nella massa di fondo, pochi sono i fenocristalli riconoscibili (Microscopio a luce polarizzata, 2i, nicol incrociati).

Figura 18. Andamento isoorientato dei feldspati costituenti la massa di fondo (Microscopio a luce polarizzata, 20i, nicol incrociati).

Considerazioni relative la provenienza dei materiali
La zona nella quale sono state ritrovate le tre Stele si trova nel materasso alluvionale della pianura padana lungo un corso dell’Adige e lungo un percorso del Po attualmente abbandonati.
Tali vie fluviali hanno giocato a suo tempo un ruolo importantissimo nel trasporto delle merci e dei materiali, connettendo le rotte adriatiche ad oriente ed i territori continentali padano-alpini verso settentrione ed occidente. Questo aspetto è di fondamentale importanza anche per quanto riguarda la fornitura dei materiali usati per la realizzazione delle stele. Infatti, poiché dalle analisi geologiche della zona si verifica come non vi sia affioramento di roccia in posto e come il sottosuolo sia costituito da un materasso alluvionale composto da ghiaie, sabbioni grossolani, sabbie medie e fini o limi a seconda del fiume che esondava – ogni fiume e torrente trasporta ciò per cui esso ha competenza ed i materiali relativi al suo bacino idrografico – per forza di cose quindi i litotipi usati dovevano avere provenienza diversa dall’area di utilizzo.
Essi potevano provenire da aree adriatiche, oppure da aree settentrionali o occidentali, trasportati per via fluviale.
Poiché nel primo caso – provenienza da aree adriatiche – i fattori da considerare sarebbero francamente troppi, e necessiterebbero di una quantità di approfondimenti tali da non poter essere effettuati nel presente studio, si cerca allora di verificare se, alla luce delle conoscenze pregresse si possa in qualche modo indicare una qualche area di provenienza nazionale afferente ai bacini idrografici tributari dei fiumi in analisi, o da aree di affioramento limitrofe.

Per quanto riguarda il materiale con cui è stata costruita Stele 1 denominata “Grande”, cioè uno scisto, esso non trova corrispondenti tra quelli che affiorano nell’area pedemontana a Nord della zona di affioramento della stele, dove invece si possono rilevare prevalentemente materiali di tipo sedimentario con locali affioramenti magmatici effusivi. Tenendo però conto che a Nord di Fratta Polesine scorre il fiume Adige, mentre a sud scorre il Po, è possibile che il materiale usato possa essere stato trasportato lungo uno dei due corsi d’acqua. Per quanto riguarda il bacino idrografico del fiume Adige, di provenienza settentrionale, scisti possono essere rinvenuti nella Valle dell’Agno e del Leogre (VI) (scisti muscovitici cloritici a quarzo e albite non di rado biotitici del pre-permiano) mentre micascisti si rinvengono anche nei complessi rocciosi delle unità Pennini ed Austridi del Trentino-Alto Adige. Se ipotizziamo invece la possibile provenienza occidentale del materiale, si ricorda come tutta la zona delle Alpi occidentali abbia subito condizioni di metamorfismo parossistiche e che quindi il rinvenimento di scisti in tale area è ampio e diffuso.
Più approfondite considerazioni in proposito potrebbero essere effettuata per confronto diretto del materiale della Stele 1 con materiali scistosi provenienti sia da varie località delle Alpi occidentali che afferiscono al bacino idrografico del fiume Po e sia dalle zone tributarie di competenza idrografica del fiume Adige.

Per quanto riguarda invece la Stele 2 o “Poligonale” e la Stele 3 o “Ciottolone”, si può notare come entrambe siano state realizzate con un materiale lapideo di origine magmatica effusiva denominato Trachite, anche in questo caso non affiorante nella zona di utilizzo; per prima cosa si cerca di verificare se i due litotipi siano uguali e quindi provenienti da una medesima area o se siano differenti e quindi provenienti da aree diverse.

Figura 19. Stele “Poligonale” (Microscopio a luce polarizzata, 2i, nicol paralleli).

Figura 20. Stele “Ciottolone” (Microscopio a luce polarizzata, 2i, nicol paralleli).

Figura 21. Stele “Poligonale” (Microscopio a luce polarizzata, 10i, nicol incrociati).

Figura 22. Stele “Ciottolone” (Microscopio a luce polarizzata, 10i, nicol incrociati).

Si osserva che nella Stele 2 denominata “Poligonale” i feldspati che costituiscono il litotipo si presentano talora limpidi e talora con condizioni di alterazioni più o meno spinte; essi hanno generalmente dimensioni maggiori rispetto quelli di Stele 3. Si notano locali plaghe di dimensioni intermedie tra quelle dei costituenti la massa di fondo e quelle dei fenocristalli più grossolani. Le biotiti sono quantitativamente scarse, caratterizzate da pochi individui nella sezione analizzata. Si nota la presenza di microgranulazioni di opachi localmente concentrati; nella Stele 3 denominata “Ciottolone” vi sono maggiori quantità di biotiti presenti in fase di alterazione e con strutture coronitiche generate da minerali opachi; i glomeruli costituiti da feldspati hanno aspetto alterato e sono caratterizzati da strutture coronitiche; i cristalli che costituiscono la massa di fondo sono più sottili per la qual cosa presentano un aspetto più marcatamente isoorientato e fluitale. In generale il litotipo che costituisce la Stele 3 “Ciottolone” ha un aspetto più alterato.

Alla luce di tutte queste considerazioni, per ipotizzare la possibile provenienza dei materiali in analisi occorre far riferimento alle zone limitrofe di affioramento rispetto la pianura alluvionale. Da una ricerca bibliografica geologica possiamo affermare che il materiale in analisi è verosimilmente proveniente dalle propaggini più meridionali degli affioramenti della Trachite che proviene dai colli Euganei (trachite Euganea). Le esigue dimensioni dei fenocristalli lasciano ipotizzare che la zona di prelievo sia corrispondente alle aree più periferiche della massa magmatica, mentre le differenze apprezzabili tra i due materiali fanno ipotizzare che essi non provengano dalla stessa località, o comunque non provengano dalla medesima quota di livello di cava.
Nel tentativo di posizionare arealmente almeno uno dei due materiali, ed avendo un campione di Trachite proveniente dalle cave di Montemerlo, in assoluto tra le cave di più antico sfruttamento, si è provveduto ad effettuare una sezione sottile della medesima e a confrontarla con i due materiali in esame.

Figura 23. Trachite Montemerlo. Nella massa di fondo i cristalli hanno dimensioni maggiori rispetto i materiali delle due Stele (Microscopio a luce polarizzata, 10i, nicol incrociati).

Figura 24. Costituenti della trachite Montemerlo (Microscopio a luce polarizzata, 2i, nicol incrociati).

Molto sinteticamente possiamo affermare che la Trachite Montemerlo è sicuramente più sana e con un bagaglio di fenocristalli quantitativamente e tipologicamente maggiore rispetto i due litotipi in analisi; tra i fenocristalli, infatti, si riconoscono Anfiboli, Pirosseni, Biotiti con strutture coronitiche e in fase di alterazione più o meno spinta, feldspati anche con strutture coronitiche.

Alla luce dell’analisi petrografica si può affermare che la Trachite di Montemerlo differisce da entrambi i litotipi usati per realizzare le Stele 2 e 3 sia a causa della differente composizione e sia per le diverse caratteristiche strutturali.
Quindi nessuno dei due litotipi proviene dalla zona di Montemerlo.

Conclusioni
Sono stati analizzati i frammenti di tre Stele portate alla luce nella necropoli di Narde (Fratta Polesine). Le tre Stele sono state realizzate con materiali lapidei di differente origine: un materiale metamorfico (scisto) e due materiali magmatici effusivi (trachiti). A causa della loro differenza genetica o strutturale, possiamo dire che essi provengono tutti da aree diverse. I due litotipi sicuramente più prossimi sono le trachiti che mostrano però condizioni di tessitura e struttura dissimili tali da non poterli ubicare nel medesimo sito estrattivo. Questo sicuramente evidenzia, per quel tempo, una condizione di floridezza, dei traffici e del commercio.
Stranamente la loro tipologia, un metamorfico e due trachitici, fa riferimento a materiali olocristallini di composizione feldspatico–quarzosa e quindi a materiali sostanzialmente duri da lavorare: fossero stati materiali calcarei sarebbero stati di più facile lavorabilità, ma evidentemente chi utilizzava tali lapidei era in grado di superare il gap tecnico derivante dalla difficile lavorazione dei litotipi quarzosi.
Ad ogni buon conto la loro scelta sembra essere stata fatta a ragion veduta, essendo la probabile distanza per il loro approvvigionamento simile o superiore a quella di materiali sedimentari che, molto più teneri da lavorare, sarebbero potuto essere trasportati ad esempio sempre via fiume dai monti Lessini dai quali provengono materiali di grande utilizzo storico come il Rosso Ammonitico o le biocalcareniti, pietre tenere di Vicenza e Verona.

Bibliografia
– G. Baroni, F. Zecchin (1995) – Le pietre nelle architetture minori del Veneto Servizi Grafici Editoriali, PD;
– E. Castelli per Provincia Autonoma di Bolzano, Alto Adige – Le pietre naturali dell’Alto Adige. Una risorsa storica alle porte del III millennio – Tipografia Presel, BZ;
– Note illustrative della Carta Geologica d’Italia – F. 36 SCHIO.

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Geol. Anna Maria Ferrari

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